La frontiera Viaggio intorno a by Erika Fatland

La frontiera  Viaggio intorno a by Erika Fatland

autore:Erika Fatland
Format: epub
pubblicato: 2019-10-23T16:00:00+00:00


Il paradiso di Stalin

La frontiera tra Georgia e Abcasia è stranamente deserta. Un ponte lungo e largo passa su un fiumiciattolo quasi del tutto secco. C’è quasi più acqua sul ponte che sotto. Trovandosi in una terra di nessuno tra la madrepatria e la repubblica secessionista, nessuno si assume la responsabilità di ristrutturarlo e a ogni anno che passa le crepe nell’asfalto si allargano.

Alle mie spalle avanzava un gruppo di donne vestite di nero, tutte cariche di borse piene di prodotti presi in Georgia. Sul ponte passò qualche automobile con il logo di varie organizzazioni umanitarie internazionali e una carrozza trainata da tre cavalli magri con a bordo un gruppetto che aveva pagato per non dover varcare a piedi la terra di nessuno.

Quando raggiunsi il punto di controllo, che consisteva in tre o quattro semplici capannoni, mi misi in fila. Per i cittadini stranieri non è difficile ottenere permessi di viaggio in Abcasia, basta ricordarsi di registrarsi online sul sito ufficiale del governo con qualche settimana di anticipo. Qualcosa però doveva essere andato storto nella procedura, perché avevo ricevuto la conferma di esito positivo solo quando il permesso stava già per scadere. Di conseguenza, non mi restavano che due giorni da trascorrere nella repubblica abcasa.

«Quando arriva a Sukhumi vada subito al ministero degli Esteri per procurarsi un visto» mi avvertì la guardia alla frontiera. «Senza visto non possiamo lasciarla uscire dal paese.»

Assicurai che avrei fatto come diceva, rimisi il passaporto in borsa e cominciai a vagare. Ero già stata in Abcasia cinque anni prima con mia madre. Quella volta la frontiera mi era sembrata spaventosa e pericolosa. Avevo visto auto tirate a lucido fermarsi muso contro muso, finestrini abbassarsi e mazzette di banconote passare di mano in mano. In generale la gente mi era sembrata inospitale, quasi ostile, ma alla fine avevamo trovato un autista disposto a portarci a Sukhumi, la capitale. Dalle strade dissestate e piene di buche avevamo visto relitti di villaggi bombardati. Nelle cunette giacevano gonfi cadaveri di animali. Le raccomandazioni del governo mi risuonavano in testa: «Il ministero degli Esteri sconsiglia viaggi e soggiorni nelle aree secessioniste dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud.» Mi immaginavo i peggiori scenari, ma non osavo dire niente a mia madre, visto che ero stata io a proporre quella meta vacanziera a dir poco stravagante.

Fino a che punto ci si può fidare della memoria? La domanda mi si ripropose una volta passato il controllo alla frontiera, cominciando a camminare verso il parcheggio. L’area che cinque anni prima mi era apparsa spettrale, oggi, nel sole di febbraio, mi sembrava anonima, quasi banale. Mi avvicinai ai mini-bus allineati, ne trovai uno diretto a Sukhumi e mi accomodai. L’autista non disse che aveva in programma una sosta di mezz’ora nella città più vicina, ma in compenso mi offrì un caffè. D’altronde ero straniera ed ero ospite.

La vista dal finestrino però era come me la ricordavo. Passammo accanto a relitti di edifici anneriti, villaggi abbandonati e fabbriche in disuso dall’epoca sovietica. La vegetazione era selvaggia e incolta e la strada dissestata, rattoppata alla bell’e meglio, piena di buche.



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